La Teoria Polivagale per i Riflessologi (terza e ultima parte)

schema a blocchi sul sistema nervoso

Il Sistema Nervoso Sociale interagisce costantemente con l’ambiente, tramite la Neurocezione

La strategia che è comparsa più di recente nell’evoluzione degli organismi viventi e che riguarda (quasi) solo l’uomo è quella che comporta l’attivazione dei nervi motori branchiali e del Vago Nuovo, che abbiamo conosciuto nelle prime due parti di questo articolo, denominati nell’insieme Sistema Nervoso Sociale (SNS) per la capacità di favorire l’autoregolazione, la resilienza e i comportamenti pro-sociali.

L’essere umano è in grado di interagire costantemente con l’ambiente circostante, inclusi gli altri umani, monitorando momento per momento il grado di sicurezza o, al contrario, di pericolo che rappresentano per lui. Lo fa utilizzando il riflesso di orientamento, l’ascolto, le espressioni del volto, la voce e le sue intonazioni. Questa capacità, per la quale il prof. Porges ha coniato il termine Neurocezione (Neuroception) è innata e inconscia negli umani. Vuol dire innanzi tutto che non dipende dalla coscienza né dalla volontà, in quanto anche il SNS è sottocorticale, fa comunque parte del SNA. Inoltre non deve essere appresa: i neonati e i bambini molto piccoli ne sono già dotati, come dimostra il loro utilizzo della mimica facciale, il loro orientarsi verso la mamma e ritrarsi invece dagli estranei, usando la voce per richiamare l’attenzione, attirare a sé il caregiver o manifestare disagio o paura.

La Teoria Polivagale per i Riflessologi (terza e ultima parte)

L’esperimento della faccia immobile

Per chi avesse ancora qualche dubbio sugli effetti di regolazione delle emozioni e di gestione dello stress che ha sui bambini molto piccoli la comunicazione con la mamma attraverso la mimica facciale e la voce, cioè con il SNS, vi invito a vedere il breve filmato sull’esperimento chiamato Still Face Experiment (L’esperimento della faccia immobile), che vale più di mille parole. Lo trovate qui: https://www.youtube.com/watch?v=apzXGEbZht0. Il video è in inglese, ma il verbale in questo esperimento è solo introduttivo, poi parlano le immagini.

La gerarchia di risposta agli eventi stressanti negli umani

La gerarchia descritta da Porges viene ripercorsa a ritroso dagli esseri umani nella loro interazione con l’ambiente e con gli eventuali stimoli stressogeni.

Secondo la Teoria Polivagale, un umano, bambino o adulto che sia, grazie alla neurocezione, monitora costantemente l’ambiente circostante in cerca di segnali che gli confermino che è AL SICURO. Il suo SNS è pienamente attivo nella relazione con gli altri, emette e riceve segnali di sicurezza. Il cuore, intimamente connesso alla faccia nel SNS, ha un battito calmo, il freno vagale è attivo, i centri limbici della paura (amigdala, ippocampo) sono sotto controllo. Parasimpaticotonia, o, per usare un’espressione oggi più in voga “alto tono vagale”.

Che cosa accade se a un certo punto questa persona nell’ambiente rileva una minaccia? La Teoria Polivagale ci dice che inizierà a percorrere la gerarchia delle risposte di salvaguardia cominciando dal livello più evoluto, il SNS, nel tentativo di negoziare con la “presenza ostile”. Cioè sorriderà, utilizzerà la mimica facciale, il linguaggio e l’intonazione della voce per cercare di dissuaderla dal fargli male, e magari girerà la testa per vedere se c’è nei paraggi la mamma o un altro umano da chiamare in aiuto piangendo o gridando. Insomma, l’essere umano prima di tutto cerca di risolvere la presunta minaccia su questo piano, senza dover alterare completamente il suo assetto metabolico.

Se questa prima reazione fallisce, e la minaccia persiste, il freno vagale viene rimosso e si innesca la reazione “lotta o fuggi”. Entra in scena il simpatico, con tutta la cascata dello stress e con i suoi alti costi metabolici.

L’ultima risorsa, se anche l’attivazione simpatica fallisce, l’ultima carta da giocare è la parasimpaticotonia del Vago Antico, cioè l’immobilizzazione, il freezing, lo shock, la dissociazione. Se non muore di paura, l’umano che ha subito uno shock, o, peggio, ripetuti shock, si congela, tende alla dissociazione, ad “andarsene” dal proprio corpo.

Se osserviamo tutto questo nei neonati, nei bambini molto piccoli, vedremo il piccolino che si sente al sicuro, che ha una buona relazione di attaccamento alla madre (o al caregiver), che ha i propri bisogni generalmente soddisfatti, e che di tanto in tanto piange e strilla per un qualche tipo di momentaneo disagio o paura, per poi ritornare abbastanza velocemente alla condizione rilassata abituale. Ovviamente piangere e urlare sono la fase di attivazione del simpatico in un bambino piccolo che non può né fuggire né lottare. E vedremo la differenza rispetto a un piccolino che piange e strilla inutilmente, senza che nessun caregiver si prenda cura di lui (perché magari la sua mamma segue la funesta teoria del “lascialo piangere, se no lo vizi” anche nella variante “lascialo piangere che tanto si calma da sé”… ma questo è un altro discorso, lasciamo perdere…). Anche questo bambino finirà per acquietarsi, ma la sua non è calma, bensì la rassegnazione di chi ha imparato che il mondo non è un posto per lui.

Perché tutto questo riguarda il riflessologo? L’importanza di far sentire il cliente al sicuro

Andiamo ora verso la conclusione ed anche verso le implicazioni della Teoria Polivagale che ci riguardano come riflessologi, come operatori olistici.

Di fatto la relazione tra il riflessologo e il cliente, in quanto relazione tra due esseri umani, non fa eccezione al principio fondamentale che l’imperativo dell’essere vivente è sentirsi al sicuro, e poiché ora sappiamo che l’essere umano ha a disposizione la più sofisticata strumentazione esistente nella scala filogenetica, per assicurarsi la sicurezza, attraverso la neurocezione e il SNS, apparirà evidente che se vogliamo ottenere i migliori risultati con i nostri clienti, dobbiamo farli sentire AL SICURO. Questa è la priorità, che viene prima di qualsiasi disciplina, tecnica, protocollo.

Se il cliente non si sente al sicuro, il suo SNA resterà in modalità di allerta, di “lotta o fuggi” o di freezing, e lui non avrà accesso ai benefici di un alto tono vagale. Come tutti sappiamo (o dovremmo sapere) i processi di autoguarigione si attivano solo nella modalità “sicurezza e rilassamento”.

Poiché nella relazione operatore-cliente, per definizione gli esperti siamo noi, è compito nostro creare e mantenere quelle condizioni che favoriscano il rilassamento, il tono vagale del cliente.

Inoltre, il cliente arriva sul nostro lettino portando nel suo sistema un grado più o meno alto di sofferenza, di stress, di trauma, dovrebbe essere chiaro che qualsiasi cosa che lo renda più grave è controproducente.

La discussione sul dolore in Riflessologia

Uno dei temi più accesi nel dibattito tra i riflessologi a livello internazionale è quello del dolore. Dopo quello che abbiamo compreso di come funziona il SNA, dovrebbe risultare chiaro che il dolore a livello inconscio, a livello di neurocezione, è percepito dal sistema del cliente come una minaccia, quindi abbassa il suo tono vagale e innesca la risposta di stress del simpatico automaticamente, anche se la persona non ne è cosciente, e anzi fa del suo meglio per “sopportare” il dolore.

Ma non è soltanto il dolore fisico che può rappresentare una minaccia per la neurocezione del cliente. Anche la nostra fretta, o la mancanza di empatia, il non ascoltare veramente il cliente dallo spazio del cuore, giudicarlo, volerlo cambiare, essere troppo attaccati al risultato, essere ansiosi e insicuri, o invece arroganti e presuntuosi… tutte queste sono attitudini che interferiscono negativamente con la nostra “presenza” di operatori, e vengono registrate come messaggi minacciosi dalla neurocezione del cliente.

Se vogliamo aiutare il cliente a rilasciare stress e trauma, se il nostro obbiettivo è quello di riportare il suo Sistema Nervoso all’omeostasi, ad una capacità adattiva migliore, aumentare il suo tono vagale e la sua resilienza, allora dobbiamo prenderci cura del nostro tono vagale, dell’equilibrio del nostro SNA. Dopodiché il cliente ci imiterà, per risonanza.

Ma tutte queste cose le ho già scritte in un articolo che ho pubblicato in questo blog qualche anno fa, La Presenza dell’Operatore, in due parti. E a quello vi rimando, se volete leggerlo, o rileggerlo, ora che conoscete meglio la scienza che gli sta dietro.

Ecco i link: https://www.puntiriflessi.it/riflessologia-relazionale/la-presenza-delloperatore-1-parte

e https://www.puntiriflessi.it/riflessologia-relazionale/la-presenza-delloperatore-2-parte

Vi ringrazio dell’attenzione e della pazienza che mi avete dedicato. Questo è davvero un articolo mooooolto lungo! Aspetto i vostri commenti, o anche domande se ne avete.

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