La Riflessologia nei malati di tumore – seconda parte

immagine con ragazza con bandana e descrizione dei vantaggi della Riflessologia durante la chemioterapia

Ecco un’altra domanda che mi viene rivolta spesso: Come faccio a costruire un trattamento di Riflessologia corretto per un malato tumorale? Questa è di solito la mia risposta: Dipende… Lo so che deluderò le aspettative di chi vorrebbe un protocollo di trattamento a cui attenersi, ma personalmente non seguo mai protocolli rigidi, e neppure consiglio ai miei studenti di Riflessologia di affezionarsi troppo ai protocolli. I protocolli possono essere di aiuto ai principianti, un po’ come i braccioli o le paperelle gonfiabili sono utili ai bambini che ancora non hanno imparato a nuotare. Ma chi vorrebbe continuare tutta la vita a nuotare con braccioli o paperelle?
Personalmente, quando faccio Riflessologia a chiunque, e a un malato tumorale in particolare, sto molto nel qui e ora, e cerco di essere in contatto con i bisogni del ricevente, che possono essere diversi caso per caso, e talvolta cambiare anche nello stesso soggetto, da un trattamento all’altro.
Quindi lasciamoci guidare dalle richieste che emergono dal colloquio con il ricevente e da quello che vediamo e sentiamo guardando e toccando i suoi piedi. Potremmo decidere, per esempio, di lavorare per rilassare lo stomaco e l’apparato digerente, se il ricevente ci parla di difficoltà digestive o di stitichezza. Un’altra possibilità è lavorare i punti che risultano dolenti, ma senza mai forzare, stando sempre abbastanza lontani dalla soglia del dolore di quella persona in quel momento, per evitare di esacerbare la sua sensibilità già tanto provata dalla malattia.
In presenza di dolore io do molta attenzione alle dita del piede e al riflesso della colonna, ossia al sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale) specialmente nella sua parte sensoriale, afferente, che trasmette il dolore dalla periferia del corpo ai centri di elaborazione subcorticali e corticali. Il trattamento delle dita inoltre risulta molto rilassante e riequilibrante nei confronti dell’attivazione da stress, in quanto nelle dita ci sono anche i riflessi dei nervi cranici, che, come ricorderete, sono tutti nervi parasimpatici. Se la persona vive la sua condizione con forte stress, come spesso accade in questi casi, è indicato anche il trattamento di riequilibrio neuroendocrino o almeno quello dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene.
Se il soggetto sta ricevendo chemioterapie, è di grande aiuto lavorare le circolazioni linfatiche e gli organi emuntori (reni, fegato, intestino crasso), per facilitare la rimozione delle scorie citotossiche e ridurre gli effetti collaterali dei farmaci. Ho avuto io stessa feedback molto positivi in questi casi, con un consistente abbattimento dei sintomi post-chemio, come nausea, vomito, debolezza, malessere generale ecc.
Le controindicazioni al trattamento sono davvero molto poche: la presenza di febbre, una conta delle piastrine molto bassa (<50,000 u/l), tessuti che sono stati irradiati da poco. E, come già detto sopra, l’ascolto dei bisogni del ricevente è ciò che mi guida anche nello stabilire il momento, la frequenza, la durata dei trattamenti, e che modula la pressione e l’intensità del massaggio.

Come è ampiamente dimostrato dagli studi citati nella prima parte di questo articolo, studi che si sono svolti in varie parti del mondo e anche in prestigiosi centri di ricerca e cura delle malattie oncologiche, la Riflessologia si è guadagnata un posto di tutto rispetto tra le discipline complementari che possono essere offerte ad un malato di tumore per accompagnarlo e sostenerlo nel suo percorso di cura con i protocolli chirurgici e chemioterapici. E questo sta succedendo anche in Italia, seppure ancora limitatamente ad alcuni centri ospedalieri pionieri. Pertanto un po’ mi stupisco (ma neanche tanto) che ci siano resistenze ancora tanto forti verso i riflessologi che trattano malati tumorali (o anche portatori di altre patologie).
A questo proposito, mi è stata rivolta questa domanda: Come ci si può esprimere o meglio come come si può spiegare l’effetto benefico di questa tecnica senza rischiare di essere accusati di abuso della professione medica?
Per rispondere a questa domanda devo fare alcune premesse, che spero siano chiare a chi mi legge come lo sono a me. La prima è che posso assumermi la responsabilità solo di quello che dico e faccio io. La seconda è che non rispondo delle idee, delle convinzioni, dei pregiudizi altrui. Infine che non è compito mio convincere nessuno di niente. Ogni infrazione a queste premesse è destinata a complicarci inutilmente la vita.
Detto questo, è necessario avere ben chiari i limiti dell’intervento del riflessologo. Di fronte ad una diagnosi di tumore, il riflessologo si limiterà a svolgere un ruolo di sostegno del malato, lavorando al meglio delle sue competenze e possibilità, ma in una posizione subalterna alle terapie chirurgiche e/o farmacologiche ufficiali che il malato sta seguendo, senza contestarle, né tantomeno entrare in competizione o cercare di sostituirsi ad esse. Il riflessologo non userà termini appartenenti al linguaggio medico, non farà diagnosi né prognosi, non si spaccerà per guaritore né alimenterà false speranze di guarigione con la Riflessologia. Se il medico curante del suo cliente è aperto alle discipline complementari, sarebbe auspicabile mantenere aperto un canale di comunicazione con lui/lei.
La Riflessologia nei malati di tumore - seconda parte

Infine, un’ultima riflessione. Il cancro, a seconda dei tipi e dello stadio di avanzamento può essere una malattia mortale, e il riflessologo avrà bisogno di accettare l’idea che la persona che sta trattando potrebbe non guarire, e che il suo ruolo in questo caso sarà quello di accompagnarla nella fase terminale della sua vita, alleviando il dolore, rilassandolo, rendendo migliore la qualità dei suoi ultimi giorni. Gli sarà necessaria una grande consapevolezza, per evitare di proiettare addosso al ricevente la sua paura della morte, la sua ansia di prestazione, il suo senso di impotenza, le sue aspettative frustrate, il suo confrontarsi con il fallimento, il suo rifiuto di inchinarsi al destino…

Se, come riflessologo, non ti sentirai pronto ad affrontare questa esperienza con totale amore e accettazione, senza averne paura, senza rifiutarla, senza giudicarla una sconfitta personale (o della Riflessologia), allora sarà meglio rinunciare.
Se invece accetterai di accompagnare con la Riflessologia un malato terminale, potrai scoprire che questa esperienza, oltre che fare bene a lui, sarà un grande dono anche per te, come riflessologo e come essere umano.